Tribunale Milano sez. lav., 13/12/2019, n.2921

Interposizione fittizia di manodopera in contratto di appalto ed onere probatorio incombente sul lavoratore

In tema di interposizione fittizia di manodopera in relazione al contratto di appalto, sul lavoratore che agisca per accertare detta interposizione fittizia grava l’onere di dimostrare l’assenza dei seguenti requisiti richiesti dall’art. 29 d.lg. n. 276 del 2003, per potersi configurare un genuino appalto di opere o servizi: che l’appaltatore sia dotato di una propria ed effettiva organizzazione; che la prestazione lavorativa sia stata resa nell’ambito di un’organizzazione e gestione propria dell’appaltatore finalizzata ad un autonomo risultato produttivo; la concreta esecuzione del contratto e, quindi, l’esistenza, anche in fatto, dell’autonomia gestionale dell’appaltatore esplicata nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalità e dei tempi di lavoro.

 

Osservazioni

Diversamente da quanto accade in un appalto “regolare”, nell’ambito di una interposizione illecita di manodopera lo pseudo-appaltatore si limita a porre a disposizione dello pseudo-committente l’attività lavorativa dei propri dipendenti, i quali vengono ad essere de facto sottoposti al potere direttivo del secondo, operante quindi quale reale datore di lavoro.

La giurisprudenza di legittimità ha tentato di individuare dei requisiti di carattere oggettivo la cui esistenza consente di accertare la genuinità di un appalto, ossia: l’assunzione del rischio economico da parte dell’impresa appaltatrice (recte l’alea rispetto alla possibilità che vi sia un disavanzo tra il prezzo corrisposto dal committente ed i costi da sostenere per ottenere il risultato produttivo); l’autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’impresa committente; l’effettiva direzione dei propri lavoratori da parte dell’appaltatore, dovendo essi operare alle sue dipendenze e nel suo interesse.

Indici rilevatori di un appalto non genuino sono stati invece così compendiati dalla giurisprudenza:

  • mancanza della qualifica di imprenditore in capo all’appaltatore, difetto di un’organizzazione gestionale e funzionale (così creando “imprese fantasma”, c.d. teste di paglia);
  • impiego di attrezzature e capitali forniti dal committente;
  • sostanziale potere direttivo in capo all’appaltante;
  • svolgimento da parte dei lavoratori di mansioni estranee all’appalto e riconducibili all’attività tipica svolta dai dipendenti del committente;
  • determinazione del corrispettivo non con riguardo all’opera/servizio oggetto dell’appalto, bensì alle ore effettive di lavoro;
  • corresponsione della retribuzione direttamente da parte del committente.

In merito agli strumenti di indagine circa la genuinità o meno di un appalto, tenuto conto dei mutamenti economici e tecnologici che hanno interessato gli ultimi decenni, sembra opportuno comunque fare alcune precisazioni.

Il dato testuale dell’art. 29,d.lgs. n. 276 del 2003, non fa espresso riferimento alla figura dell’imprenditore strictu sensu, sicché il legislatore sembrerebbe rivolgersi con il termine “appaltatore” a qualunque soggetto in grado di organizzare i mezzi necessari e sufficienti per l’esecuzione del servizio/opera. La sussistenza di una interposizione di manodopera è stata accertata, d’altronde, anche ove l’appaltatore era risultato fornito di una effettiva ed autonoma organizzazione ma, nell’esecuzione del contratto, lo stesso si era limitato a prestato esclusivamente la manodopera, senza assumere alcun rischio economico nell’esecuzione del contratto. La fittizietà dell’impresa, sebbene costituisca un dato indiziario, non sembra dunque sufficiente, dovendo l’operatore del diritto spingere la propria indagine oltre al profilo strettamente soggettivo del negozio.

Il contesto moderno mostra non raramente fattispecie in cui per l’esecuzione di un appalto sia richiesta la semplice attività lavorativa (c.d. “labourintensive”, distinti da quelli “capitalintensive”). In tali ipotesi oggetto dovrà verificarsi chi e come organizzi in concreto l’energia dei lavoratori, ossia in capo a quale parte contrattuale sia riconducibile l’esercizio di fatto del potere direttivo ed organizzativo.

Sul punto si rammenta il contenuto della circolare del Ministero del lavoro n. 5/2011: “L’organizzazione dei mezzi, requisito imprescindibile dell’appalto genuino, deve intendersi in senso ampio, attesa la possibilità. normativamente prevista, che essa si sostanzi, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, nel puro esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché nell’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”. Un appalto di “dare”, diversamente, configurerebbe una mera, ed illecita, fornitura di manodopera, limitandosi l’appaltatore a fornire forza lavoro al committente il quale ne fa uso secondo le proprie necessità. La sfera direzionale ed organizzativa entro la quale operano i lavoratori è pertanto quella dell’appaltante e non quella di colui che, quantomeno formalmente, ne è datore di lavoro (rectius l’appaltatore).

Non sorgono dubbi sulla genuinità dell’appalto in cui manchi una diretta e concreta ingerenza del committente (o del suo personale) nello svolgimento delle prestazioni lavorative degli impiegati dell’appaltatore. Analogamente qualora venga accertata una direzione meramente tecnica dei lavori – da distinguere dall’esercizio del potere direttivo – ovvero il committente proceda ad un mero coordinamento funzionale dell’attività oggetto di appalto con quelle svolte in proprio.

In passato (l. n. 1369 del 1960) l’impiego di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante consentiva di presumere l’esistenza di una interposizione di manodopera vietata. Tale orientamento è stato abbandonato in ragione delle esigenze di taluni settori nei quali il servizio/opera oggetto del contratto è in genere necessariamente eseguito mediante l’utilizzo di beni e strutture del committente. Tale è l’ipotesi dell’appalto c.d. endoaziendale.

Alcuni problemi sono sorti relativamente ad appalti in cui, oltre a non essere rilevante l’aspetto dei beni materiali, non lo è nemmeno l’esercizio del potere direttivo datoriale, svolgendo i lavoratori delle mansioni altamente specializzate. In tali circostanze suddetto potere si presenta più sfumato, tanto da poter affermare che ad una più elevata expertise ed autonomia organizzativa del dipendente, corrisponderà una maggiore difficoltà nell’individuazione di elementi denotanti il ruolo di organizzatore/direttore della prestazione in capo all’appaltatore. In tali ipotesi, ai fini della determinazione della genuinità o meno dell’appalto, dovrà pertanto farsi riferimento ad ulteriori e diversi elementi, quale ad esempio l’autonomia del risultato produttivo dell’appaltatore rispetto a quello del committente.

Alla luce di quanto sopra, sembra potersi concludere che il giudizio di liceità dell’appalto resta un esame analitico, il quale non può prescindere dal singolo contesto fattuale, dovendo il giudice confrontarsi costantemente con le peculiarità del caso e con i mutamenti del settore.